Non c’è limite al peggio.
Si è fatto di tutto e di più per approdare al candidato unico del PD, ma l’accordo non tiene.
Anzi.
Siamo ai materassi.
E nessuno che s’interroghi onestamente sulle ragioni di questo casino.
A Bologna c’è un partito che, sulla base oggettiva di tutti i risultati elettorali recenti, ha la vittoria in mano. Nonostante il grosso dettaglio costituito dalla scelta di ben tre candidati sbagliati di seguito e nonostante il non piccolo dettaglio aggiuntivo, d’aver provocato, da ultimo, anche l’onta del commissariamento della città.
Per di più spicca l’assenza di una qualsivoglia opposizione, col centro –destra reso del tutto inessenziale dalla pochezza dei suoi dirigenti e da una divisione interna destinata, con ogni probabilità, a non ricomporsi in tempo utile.
In un tal contesto basterebbe, ancora, che nel PD prevalesse la ragion di partito.
Invece no.
L’appello accorato di Cevenini, secondo cui bisogna “chiudere ogni polemica e ogni incomprensione per concentrarci il più possibile sul bene della nostra amata città” appare per quel che è: un patetico tentativo di far finta di non capire.
C’è una guerra in corso nel PD bolognese.
Si tratta di far prevalere posizioni e destini personali. E di assicurare rendite per gli appartenenti alla propria fazione.
E, ciò comporta una corsa a spartirsi le spoglie persino della residua buona fede di tutti quei militanti che credono ancora nelle primarie come principale carattere distintivo, identitario, di un partito privo, per il resto, di qualsiasi certa identità.
A riprova.
Dove diavolo stanno, esattamente, le differenze politiche e programmatiche tra i due principali contendenti, Merola e De Maria?
Per cosa ci si combatte?
E mentre infuria la battaglia si continua a recitare, sempre più stancamente, la litania in base alla quale non ci son candidati di partito.
Non va bene.
Donini.
Non va bene.
La verità è che eravate giunti a indicare un candidato di partito ma la mediazione, per ragioni che sfuggono alla mia comprensione, non è riuscita.
Inutile, adesso, metter la sordina allo scontro in atto.
Se non si senton rumor di spari, a questo punto vorrà solo dire che s’usano pugnali.
Ed è persino peggio.
D’altro canto qual è quel partito che non ha un candidato alle elezioni?
Se un partito non ha un candidato rinuncia semplicemente a svolgere una delle sue più rilevanti funzioni democratiche.
Non è un partito.
E’ solo un asino in mezzo ai suoni.
Il resto son balle.
Inventate per cadere sempre in piedi e non pagar dazio alla responsabilità di una scelta da sottoporre al giudizio degli elettori.
Questo o quella per me pari sono.
Qualcuno disse così anche nel lontano ’99.
Dopo peraltro aver avanzato una proposta.
E qualcun altro, d’impulso rispose: ah sì, allora vai a fare in c…
Attenzione che stavolta gli elettori possono ragionare anch’essi d’impulso…
Spero solo che almeno adesso qualcuno comprenda il senso politico, nient’affatto strumentale, della proposta di lista civica di sinistra che avanzai nell’aprile scorso.
Non si trattava d’umiliare un partito, ma di prender atto della situazione difficile e inedita che si era creata per la prima volta con il commissariamento del comune e di trarne conseguenze politiche tali da mobilitare e rimotivare la cittadinanza dei bolognesi.
Persino il consenso che questi ultimi venivano spontaneamente esprimendo nei confronti della figura del commissario avrebbe dovuto far intendere la necessità di avviare una nuova stagione politica.
Se si fosse lavorato seriamente alla costruzione di una svolta in senso civico, a partire dallo schieramento di centrosinistra, il PD non si troverebbe oggi a brancolare in questo ginepraio.
Dal quale , in un modo o nell’altro si uscirà , naturalmente.
Ma per il PD e , segnatamente per lo strato dirigente proveniente dai DS, non si tratterà di un uscita indolore.
Tutt’altro.
Strano e imprevisto modo di concludere una lunga storia.
Forse anche ingiusto.