Debbo ammettere che più la situazione si complica più diventa interessante.
Almeno per chi (fascia assai ristretta ormai) non riesce ancora a staccar la spina dalla politica.
Da qui alle elezioni di primavera tutto può accadere poiché le interazioni tra i soggetti in campo sono molte e non tutte prevedibili. Anche al netto dell’esito delle primarie del PD.
Per queste ultime il risultato è scontato fin dall’inizio e di fatto ,più o meno tacitamente perfezionato in corso d’opera tra i due principali contendenti.
Lo si è visto durante il noioso confronto tra i magnifici cinque e nei giorni seguenti.
C’è forse ancora la possibilità di un ballottaggio.
Su questo l’accordo non c’è.
Dipenderà dall’affluenza alle urne di Domenica.
In ogni caso non conviene a nessuno una vittoria di Renzi.
Neanche al medesimo Renzi che non saprebbe che pesci prendere per governare un partito, a quel punto, sull’orlo della scissione.
Ci vuol poco a capire che un partito il cui segretario perdesse la sfida entrerebbe in una crisi immediata, profonda e dirompente.
Molti votano per Renzi proprio per questo: distruzione creativa.
Non avverrà.
Solo che Bersani dopo aver fatto campagna prendendo le distanze dal montismo si troverà di fronte a un bivio.
O prosegue su questa linea buttando nel cesso l’agenda Monti, dato che non basterà a fronte della irresistibile crescita elettorale di Grillo, segnalata con continuità da tutti i sondaggi, cercar d’attenuarne gli aspetti più smaccatamente antisociali.
Oppure, getta alle ortiche come velleitaria la linea di condotta della campagna primariesca per addivenire a più miti consigli.
Se si vota in una certa data Napolitano darà le carte e il Presidente ha già chiarito a iosa che non si può in alcun modo deflettere dal cammino tracciato dal Governo Monti-Fornero. (Passera ormai non c’è più se n’è andato con l’elicottero insieme alle politiche di crescita e sviluppo).
A ciò deve aggiungersi la variabile relativa alla costituzione di un nuovo centro.
Ovvio che la coppia Montezemolo-Riccardi da sola non riuscirebbe neppure ad eguagliare i voti di Casini. Ma può contare sul sempre più rapido disfacimento del PDL.
Mettiamo che Angelino si risolvesse a mollare gli ormeggi emancipandosi da quel comandante Schettino già clamorosamente abbandonato anche dalla pasionaria emiliana.
Beh allora le cose s’ingarbugliano per Bersani e il PD.
Dando per scontata la buona fede di Bersani(cioè che la linea sostenuta nelle primarie non sia stata mera propaganda al solo scopo d’ottenere il risultato) e la fine ingloriosa dell’IDV dopo il pietoso colpo di grazia inferto dalla Gabanelli (suppongo per ragioni umanitarie) ci si troverebbe, infatti, di fronte alla costituzione di un polo di centro alquanto competitivo con la coalizione PD-Sel. Complice l’ovvio endorsement montiano.
Un centro che , non va dimenticato, sarebbe fortemente sostenuto dal partito popolare europeo, oltre che dai poteri forti che spadroneggiano a Bruxelles.
A quell’ipotetico punto solo una legge elettorale smaccatamente truffaldina potrebbe trarre d’impaccio e solo parzialmente il PD di Bersani. Ma non si vede la ragione per la quale l’attuale residuo centrodestra che conserva una maggioranza in parlamento insieme a Casini dovrebbe accedervi.
Tutto ciò considerato, e non ritenendo realistico un approccio minimamente costruttivo col movimento di Grillo, a Bersani resterebbe solo da giocare di sponda con la Lega,( ragionevole 2.0), di Maroni e Tosi .Resterebbe da capire come fare il paio con Vendola.
Ma non è ipotesi da scartare a priori , nel caso in cui Bersani, seppur da una posizione difensiva, non volesse abbandonare del tutto la ricerca di uno spiraglio per forzare la cortina di ferro dell’austeritarismo europeo.
In quest’ambito penso ben pochi vorrebbero trovarsi nei panni del vincitore assoluto delle primarie e, relativo, delle secondarie.
Forse per questo Bersani ha già annunciato che al prossimo congresso intende passare la mano, lasciandosi così aperta una uscita di sicurezza (benché stretta) dal vicolo cieco cui s’è cacciato il PD fin da quando decise di non sfruttare la regola del vantaggio, che pur aveva un anno addietro quando i lavori in corso per la costituzione di un nuovo centro moderato erano ancora di là da venire.
In politica, come in amore e in guerra, “prima del momento non è mai il momento e dopo il momento non è più il momento” recita un vecchio adagio francese.
Pur lasciando da parte i contenuti – il PD ha fatto passare le riforme /contro nelle più rilevanti politiche sociali, dalle pensioni al mercato del lavoro, al pareggio di bilancio in Costituzione – la scelta dei tempi, in politica, si conferma come un fattore decisivo.
Per questo uno scenario da non scartare , al momento, appare proprio quello di un governo di larghe intese più o meno mascherato, con all’opposizione il solo Grillo. Assieme alla scissione permanente dalla politica di quasi metà del corpo elettorale.
Resta un’altra variabile “esterna” .
Le potenzialità di cambiamento “rivoluzionario”, rispetto all’austerità autoritaria, antipopolare e disastrosa sul piano economico, insite in un’opposizione sociale crescente i cui percorsi di aggregazione, la cui incisività, ed efficacia non andrebbe sottovalutata da ciò che ancor resta nella sinistra italiana. Dentro e fuori il PD e Sel.
Ma questo è un altro discorso.