IL METODO.

Maggio 24, 2021

In quanto neo segretario della federazione dl PCI di Bologna sono invitato al Comitato Centrale senza diritto di voto.

Si deve eleggere la Direzione nazionale. Sono intimidito da un tal consesso. Ci sono tutti.

L’oligarchia al completo.

Amendola parlotta con quanti gli stanno vicini.

Ingrao è chinato a scrivere su di un blocco di carta con un pennarello. Sembra distante anni luce da quella riunione. Pecchioli è fermo in prima fila , rigido come uno stoccafisso, non muove ciglio. Cossutta ha più o meno la stessa postura.

Non ricordo in quanti parlano tra i non maggiorenti, ma molto pochi dato che la mediazione è già stata fatta in un altrove che mi è del tutto ignoto.

 Pajetta presiede. Legge la lista dei candidati. Ne manca uno. Il sindaco di Bologna. Con la motivazione che c’è già il presidente della regione.

 Il sindaco , seduto accanto a me. Mi guarda rassegnato, dolente e incazzato. Con me.

Alzo la mano per chiedere la parola. Pajetta mi guarda come fossi un insetto inoffensivo.

E rivolge lo sguardo altrove per annotare le mani alzate.

Deve constatare che c’è solo la mia.

Mi fa un cenno mentre mi sto cagando addosso.

Mi avvicino con gambe tremule al podietto posto alla destra del presidente. Mi schiarisco la gola come sempre quando sono nervoso . Dico solo che va inserito nella lista il sindaco mentre sto cercando di elaborare un qualche straccio d’argomentazione.

Pajetta m’interrompe con quel suo ghigno caratteristico per chiedermi, appunto, quali sono le mie argomentazioni in proposito.

Insomma, fatti avanti coglione.

A quel punto riesco solo a ringhiare : se non lo capite da soli inutile argomentare.

Il sindaco mi guarda male.

Mentre faccio una pausa e tutti si aspettano che  aggiunga qualcosa.

Invece scendo di scatto dal sacro podio col chiaro significato : andate tutti quanti a cagare.

Sicuro di aver posto fine alla mia carriera.

Ma  il Sindaco di Bologna entra in Direzione a voti pressoché unanimi.

RIFORMA.

aprile 15, 2021

Sta per esser presentato in parlamento il piano nazionale di ripresa e resilienza nell’ambito dell’inversione di rotta che la pandemia ha imposto all’Europa con il Next Generation UE.

Se si tratterà di vero cambiamento che includa un diverso più civile approccio e di visione nei confronti dello sviluppo futuro lo vedremo solo in seguito. Tuttavia fin d’ora non c’è da esser troppo ottimisti. Almeno per quanti ancora credono nella necessità di cominciare a uscire dalla lunga stagione caratterizzata dal liberismo economico.

La pandemia ha accomunato tutti in un destino umano comune dato che sono morti e muoiono ricchi e poveri.

Ma solo fino a un certo punto.

Le disuguaglianze sociali si sono anzi aggravate. La guerra dei vaccini nell’ambito degli attuali equilibri geopolitici sta dando anch’essa dato il proprio negativo contributo.

Si dice che il mondo post pandemia non sarà più come prima.

Qualcuno si è persino spinto a considerare la pandemia come un’occasione di cambiamento.

Può esser un cambiamento in peggio all’insegna di una ulteriore concentrazione dell’immenso potere del capitalismo globale, proprio grazie alla grande mobilitazione di risorse pubbliche che è in campo in Europa e negli USA e in tutto l’occidente nella competizione serrata con la Cina.

Il finanziamento della stessa transizione digitale ed ecologica non offre di per sé alcuna garanzia di progresso in campo sociale, non delinea a priori un modello di sviluppo altro e diverso da quello imposto negli ultimi quattro decenni dal liberismo economico.

Un liberismo liberato (come qualcuno ha scritto) dai lacci statali e dai movimenti sociali a partire almeno dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso.

L’unica garanzia potrebbe consistere in nuovo pensiero dopo il fallimento del comunismo e il progressivo rapido disfacimento, nella subalternità, di tutte le esperienze della socialdemocrazia europea.

Anche tutti i diversi e molteplici movimenti generazionali e sociali, spesso facenti leva su di una nuova consapevolezza ecologica e ambientalista appaiono oggi come sporadici falò accesi nella lunga notte liberista. Presto spenti per assenza di combustibile sociale e altrettanto spesso assorbiti dalla formidabile capacità mimetica del capitalismo globale.

Non esiste multinazionale che non abbia assunto una perfida veste green proprio mentre si procede a passi da gigante nella de-statalizzazione di intere aree del mondo per sottoporle a rapina di risorse  a mano armata.

Intere zone e territori sono ormai privatizzati, senza Stato, o con simulacri di Stati fantoccio messi in piedi a viva forza dispiegata dopo guerre condotte in nome dei diritti umani o scatenamento di bande private, di origine criminale, tribale e organizzazioni mercenarie.

L’Africa in particolare assieme a parte del medio oriente è di nuovo terra di saccheggio dopo la breve parentesi storica della decolonizzazione. La distruzione della Libia, dell’Irak, della Somalia, in parte della Siria e del Mali dopo il sotterraneo sostegno dato in varie forme a Daesh assieme alla penetrazione violenta nelle aree più ricche di materie prime come il grande Congo, danno l’idea di un capitalismo globale che esibisce la faccia verde in occidente mentre tinge di rosso sangue terre a noi lontane .

Lontane dagli occhi e dal cuore.

Abbiamo ben poche garanzie che dall’alto di piani di ripresa e resilienza nei nostri paesi sviluppati la logica interna ad un capitalismo senza freni sociali e inibizioni etiche possa dare una stagione di  buoni frutti.

Viviamo in un lungo periodo di siccità.

Siccità del pensiero.

Pochi osano misurarsi sul terreno di una fuoriuscita dall’attuale organizzazione del capitalismo di rapina. Non viene considerato realistico. Eppure da un nuovo pensiero che superi le esperienze storiche della sinistra europea e mondiale senza gettarne alle ortiche valori e idealità è più che mai necessario. Urgente.

I piani nazionali in Europa di attuazione del progetto di ripresa della UE potrebbero essere un’occasione.

Vengono richieste riforme per poter usufruire di quei finanziamenti.

Forse è proprio su questo terreno che potrebbe aggregarsi una nuovo movimento di sinistra, politico e sociale.

Forse non è peregrino cercare di inserire in questo richiesto fervore riformatore qualche cavallo di Troia.

A partire dal sistema fiscale (vedi proposta di Piketty)   che abbia valenza transnazionale dato che non si tratta di prendere una sola cittadella ma di incidere sul funzionamento interno del capitalismo globale.

Tassazione progressiva sul reddito, ridistribuzione della proprietà tramite una tassazione annuale dei grandi e medi patrimoni di ogni tipo sono due possibilità per fornire, “all’inizio” del percorso di vita e di lavoro una dotazione di capitale sociale alle giovani generazioni  

Per questa via si inizierebbe a stravolgere il sistema minandolo dall’interno con il soccorso di movimenti orizzontali che altrimenti non possono trovare sbocchi statali e si potrebbe anche dare risposta alla paura, fondata, che avanza in molti strati delle classi medie sempre più a rischio di precarietà e impoverimento.

Insomma è ora di pensare l’impensabile.   

Cambio passo?

aprile 9, 2021

Mi è capitato su FB, di definire AstraZeneca il vaccino ciofeca. Apriti cielo. Capisco che l’ espressione è un pochino forte. Tuttavia cercavo di argomentare. Trattasi di un vaccino che costa molto poco relativamente a tutti gli altri vaccini “occidentali/ atlantici”  e che protegge meno. Mi si è detto che non sono un virologo e che in UK ha funzionato benissimo.

In sostanza : lascia fare agli scienziati che ci rassicurano. Loro sono esperti e tu non sei un cazzo. In più c’è una guerra commerciale in corso. Posso convenire solo su quest’ultimo aspetto. Il rischio di saltare su di una mina è sempre presente in questi casi.

Ma ciò che mi sento di rimandare al mittente è precisamente l’idea che la scienza non debba mai esser messa in discussione dai profani data la sua neutralità tecnica. Esistono fior d’esempi che spiegano l’esatto contrario. La scienza nella storia recente ha spesso legato l’asino dove voleva il padrone.

Ma provo a spiegarmi puntualmente.

1)E’ stata stabilita la correlazione tra particolari e rarissime forme di trombosi e il vaccino in questione. Ciò non è avvenuto per altri vaccini occidentali,di cui ometto i nomi per evitare di saltare sulla suddetta mina commerciale.

Di uno di questi s’è verificato meno di un caso su di un milione di queste correlazioni. Ergo un vaccino molto più sicuro, praticamente il 100%,  e contemporaneamente molto più efficace, 90%.

2)AstraZeneca è stato testato in fase 3 solo sul 15% del campione di riferimento in persone over 55. Ergo era , all’inizio, un vaccino indicato per le classi d’età più giovani. Adesso invece, viceversa, viene consigliato “preferenzialmente” per gli over 60. Se ne deduce una assoluta mancanza di trasparenza entro una valutazione scientifica quantomeno deboluccia e molto controversa.

3) Vero che in UK le cose stanno andando bene, vero anche che circa la metà dei vaccini somministrati non è AstraZeneca a differenza di ciò che s’afferma.

In ogni caso se una persona potesse scegliere opterebbe per il vaccino più efficace e più sicuro.

Dopodiché mi par del tutto ovvio che AstraZeneca va bene comunque rispetto alla possibilità di contrarre il virus specie in forma grave. Nel rapporto costi/benefici va benissimo. Nel rapporto con altri vaccini è , sul campo, di una qualità inferiore. La gente lo capisce anche senza l’ausilio della scienza.

 E forse lo capisce anche dalla formidabile proprietà di linguaggio di un eminente scienziato come Locatelli, dalla fine e cauta ambivalenza delle sue parole che senza negare una rara correlazione indicano una “preferenza”. Più ascolto quest’uomo più mi convinco del suo genio. Scienziato e italianista.

Resta l’enorme disorientamento che porta oggi tantissimi, troppi, a rifiutare di vaccinarsi con il vaccino dei poveri anche sulla scorta del vario e diversificato comportamento dei diversi paesi europei.

La verità è che l’UE, in emergenza – s’immagina per ragioni di costo o per altre valutazioni strategiche –  ha scelto maggiormente AstraZeneca la quale, per buon peso, ha fino ad ora fornito solo un terzo delle dosi previste.

A questo punto il piano vaccinale europeo registra un fallimento clamoroso.

Pur in quest’ambito riesce ad emergere ancora una volta la peculiarità del bel paese.

Il modello Italia tanto irresponsabilmente decantato l’estate scorsa si è dimostrato  il peggiore in assoluto di tutta l’Europa.

Basta contare i morti e i feriti per averne piena, incontrovertibile e triste consapevolezza.

Evidentemente fino ad ora abbiamo gestito al peggio l’emergenza sanitaria.

Da ultimo pensando che il virus potesse fermarsi di fronte ad un semaforo giallo, arancione o rosso.

Un sistema semplicemente demenziale.

Poteva aver senso lo scorso anno quando più di mezza Italia era ancora indenne dal virus stabilire nei due terzi del nord una grande zona rossa delimitata, manu militari, da una  linea di confine invalicabile.

Si è preferito una chiusura totale per poi aprire alla carlona senza alcun criterio. Il risultato acquisito si è dileguato nello spazio di una sola stagione.

Da qui l’invenzione dell’Italia a zone: rimedio peggiore del male poiché si è di molto abbassata la soglia di percezione del pericolo.

L’esito di questo esperimento è ancora adesso devastante.

Specie con lo stop and go che ne è il presupposto.

Apro e chiudo, chiudo ed apro e la gente va nei matti nel regno della più totale incertezza e decide di fare come vuole.

Tanto valeva e varrebbe chiudere tutto per un per un tempo ragionevolmente breve.

Ma la politica si sbraccia invece sulle aperture dimostrando una debolezza ormai cronica di cui approfittano i demagoghi della destra.

E intanto le 500 mila dosi annunciate da Draghi per metà aprile e poi posticipate a fine mese si vedono solo col binocolo.

Verosimilmente non ci saranno.

Qualcuno suggerisce di rastrellare le dosi di AstraZeneca che vengono ormai, più o meno largamente, rifiutate in mezza Europa.

Al punto in cui siamo direi che non è un cattivo suggerimento.  

Posto che il “vaccino naturale” ormai alle porte evocato con inconsapevole levità da Bonaccini non risolverà la carenza di vaccini artificiali. Il generale estate ha vita breve. Poi tutto ricomincerà come prima.

L’altra cosa che va fatta subito nell’ambito del nuovo piano vaccinale è stabilire severe sanzioni per i cosiddetti furbetti del vaccino. Avendo ben chiaro, signor Presidente del Consiglio, che non si tratta di questione di coscienza individuale ma della  forza di lobbies che hanno imposto ad una politica tremebonda di vaccinare prioritariamente intere categorie a prescindere dalle classi d’età.

Avvocati, notai, personale amministrativo sparso per ogni dove, docenti universitari, veterinari, figli , cugini, parenti di secondo grado, amici degli amici.

Insomma la solita Italia.

La solita vecchia merda che torna a galla ogni volta.

Si tratti di una catastrofe naturale o di una calamità sanitaria.

Senza sanzioni adeguate e tempestive non esiste norma signor Presidente del Consiglio.

Immagino Lei lo sappia.

Non basta in questo paese parlare a nuora perché suocera intenda.

Stiamo aspettando un deciso cambio di passo signor presidente del Consiglio.

aprile 9, 2021

Mi è capitato su FB, di definire AstraZeneca il vaccino ciofeca. Apriti cielo. Capisco che l’ espressione è un pochino forte. Tuttavia cercavo di argomentare. Trattasi di un vaccino che costa molto poco relativamente a tutti gli altri vaccini “occidentali/ atlantici” e che protegge meno. Mi si è detto che non sono un virologo e che in UK ha funzionato benissimo.
In sostanza : lascia fare agli scienziati che ci rassicurano. Loro sono esperti e tu non sei un cazzo. In più c’è una guerra commerciale in corso. Posso convenire solo su quest’ultimo aspetto. Il rischio di saltare su di una mina è sempre presente in questi casi.
Ma ciò che mi sento di rimandare al mittente è precisamente l’idea che la scienza non debba mai esser messa in discussione dai profani data la sua neutralità tecnica. Esistono fior d’esempi che spiegano l’esatto contrario. La scienza nella storia recente ha spesso legato l’asino dove voleva il padrone.
Ma provo a spiegarmi puntualmente.
1)E’ stata stabilita la correlazione tra particolari e rarissime forme di trombosi e il vaccino in questione. Ciò non è avvenuto per altri vaccini occidentali,di cui ometto i nomi per evitare di saltare sulla suddetta mina commerciale.
Di uno di questi s’è verificato meno di un caso su di un milione di queste correlazioni. Ergo un vaccino molto più sicuro, praticamente il 100%, e contemporaneamente molto più efficace, 90%.
2)AstraZeneca è stato testato in fase 3 solo sul 15% del campione di riferimento in persone over 55. Ergo era , all’inizio, un vaccino indicato per le classi d’età più giovani. Adesso invece, viceversa, viene consigliato “preferenzialmente” per gli over 60. Se ne deduce una assoluta mancanza di trasparenza entro una valutazione scientifica quantomeno deboluccia e molto controversa.

3) Vero che in UK le cose stanno andando bene, vero anche che circa la metà dei vaccini somministrati non è AstraZeneca a differenza di ciò che s’afferma.
In ogni caso se una persona potesse scegliere opterebbe per il vaccino più efficace e più sicuro.
Dopodiché mi par del tutto ovvio che AstraZeneca va bene comunque rispetto alla possibilità di contrarre il virus specie in forma grave. Nel rapporto costi/benefici va benissimo. Nel rapporto con altri vaccini è , sul campo, di una qualità inferiore. La gente lo capisce anche senza l’ausilio della scienza.
E forse lo capisce anche dalla formidabile proprietà di linguaggio di un eminente scienziato come Locatelli, dalla fine e cauta ambivalenza delle sue parole che senza negare una rara correlazione indicano una “preferenza”. Più ascolto quest’uomo più mi convinco del suo genio. Scienziato e italianista.

Resta l’enorme disorientamento che porta oggi tantissimi, troppi, a rifiutare di vaccinarsi con il vaccino dei poveri anche sulla scorta del vario e diversificato comportamento dei diversi paesi europei.
La verità è che l’UE, in emergenza – s’immagina per ragioni di costo o per altre valutazioni strategiche – ha scelto maggiormente AstraZeneca la quale, per buon peso, ha fino ad ora fornito solo un terzo delle dosi previste.
A questo punto il piano vaccinale europeo registra un fallimento clamoroso.
Pur in quest’ambito riesce ad emergere ancora una volta la peculiarità del bel paese.
Il modello Italia tanto irresponsabilmente decantato l’estate scorsa si è dimostrato il peggiore in assoluto di tutta l’Europa.
Basta contare i morti e i feriti per averne piena, incontrovertibile e triste consapevolezza.
Evidentemente fino ad ora abbiamo gestito al peggio l’emergenza sanitaria.
Da ultimo pensando che il virus potesse fermarsi di fronte ad un semaforo giallo, arancione o rosso.
Un sistema semplicemente demenziale.
Poteva aver senso lo scorso anno quando più di mezza Italia era ancora indenne dal virus stabilire nei due terzi del nord una grande zona rossa delimitata, manu militari, da una linea di confine invalicabile.
Si è preferito una chiusura totale per poi aprire alla carlona senza alcun criterio. Il risultato acquisito si è dileguato nello spazio di una sola stagione.
Da qui l’invenzione dell’Italia a zone: rimedio peggiore del male poiché si è di molto abbassata la soglia di percezione del pericolo.
L’esito di questo esperimento è ancora adesso devastante.
Specie con lo stop and go che ne è il presupposto.
Apro e chiudo, chiudo ed apro e la gente va nei matti nel regno della più totale incertezza e decide di fare come vuole.
Tanto valeva e varrebbe chiudere tutto per un per un tempo ragionevolmente breve.
Ma la politica si sbraccia invece sulle aperture dimostrando una debolezza ormai cronica di cui approfittano i demagoghi della destra.

E intanto le 500 mila dosi annunciate da Draghi per metà aprile e poi posticipate a fine mese si vedono solo col binocolo.
Verosimilmente non ci saranno.
Qualcuno suggerisce di rastrellare le dosi di AstraZeneca che vengono ormai, più o meno largamente, rifiutate in mezza Europa.
Al punto in cui siamo direi che non è un cattivo suggerimento.
Posto che il “vaccino naturale” ormai alle porte evocato con inconsapevole levità da Bonaccini non risolverà la carenza di vaccini artificiali. Il generale estate ha vita breve. Poi tutto ricomincerà come prima.
L’altra cosa che va fatta subito nell’ambito del nuovo piano vaccinale è stabilire severe sanzioni per i cosiddetti furbetti del vaccino. Avendo ben chiaro, signor Presidente del Consiglio, che non si tratta di questione di coscienza individuale ma della forza di lobbies che hanno imposto ad una politica tremebonda di vaccinare prioritariamente intere categorie a prescindere dalle classi d’età.
Avvocati, notai, personale amministrativo sparso per ogni dove, docenti universitari, veterinari, figli , cugini, parenti di secondo grado, amici degli amici.
Insomma la solita Italia.
La solita vecchia merda che torna a galla ogni volta.
Si tratti di una catastrofe naturale o di una calamità sanitaria.
Senza sanzioni adeguate e tempestive non esiste norma signor Presidente del Consiglio.
Immagino Lei lo sappia.
Non basta in questo paese parlare a nuora perché suocera intenda.
Stiamo aspettando un deciso cambio di passo signor presidente del Consiglio.








febbraio 6, 2021

Indipendentemente da chi ne farà parte il governo Draghi sarà un governo politico, Lo dicono tutti e io m’accodo.

Decidere come e dove spendere oltre 200 miliardi di euro in assenza di un piano compiuto (progetti , spesa , tempi di avanzamento) attiene alla sfera della scelta politica per eccellenza.

Al momento non ci è ancora dato di conoscere quale sarà l’orientamento del nuovo governo.

Abbiamo solo stringate indicazioni sul metodo che tuttavia qualche significato lo hanno.

Il ruolo del parlamento anzitutto, la priorità relativa al piano di vaccinazioni, la necessità della coesione sociale da mantenere nel contesto irripetibile del Recovery plan.

Su questi tre aspetti il governo Conte bis ha sostanzialmente fallito.

Il parlamento è stato messo in un  canto e reso inessenziale con la pratica amministrativa dei DPCM e con il ruolo mediaticamente  esclusivo ed escludente del presidente del consiglio.

Certo in buona misura, anche al di là delle inclinazioni narcisistiche di Conte, si trattava di una scelta, se non obbligata quantomeno consigliata stante la maggioranza spuria, mai divenuta alleanza programmatica entro un patto di legislatura.

Si è proceduto per la via del “contratto” inaugurato a suo tempo da Berlusconi dopo il repentino cambio di spalla al fucile in conseguenza dell’autogol di Salvini. Difficile stabilire priorità e compiere scelte impegnative e realistiche sul Next generation UE in tali condizioni.

Sull’emergenza sanitaria si è proceduto a fari spenti nella notte esibendo un ottimismo insensato secondo cui il mondo intero guardava al modello Italia: oltre 90000 morti e molte centinaia di migliaia di feriti dichiarati guariti, ma che forse tali non erano e tutt’ora non sono.

Infine si è cercato di salvaguardare la coesione sociale con provvedimenti necessari, quali i famosi ristori, che in assenza però di una chiara strategia di contrasto alla pandemia non poteva che alleviarne parzialmente gli effetti senza soddisfare mai abbastanza i ristorati.

E adesso, salvo la Meloni:  unanimità su Draghi.

Il babau esorcizzato più o meno da tutti è infine arrivato: l’uomo del Britannia, della grande finanza, accreditato di massoniche appartenenze, colui che firmò insieme a Trichet la lettera “segreta” della BCE all’Italia ma anche allievo di Federico Caffè.

I più imbarazzati sembrano quelli del PD che dovranno accomodarsi in una maggioranza di governo con Salvini.

Inutile cercare di delimitare il campo agli europeisti dopo che Giorgetti ha tempestivamente chiarito che “ possiamo votare Sì o no ma non astenerci”.

Il M5S problemi non ne ha, avendo già fatto esperienza con il Conte uno. Non ne ha neppure l’avvocato del popolo che già transitò dalla sera alla mattina dal contratto con la Lega a quello con PD senza un battito di ciglia.

Draghi nasce dal rifiuto di andare ad elezioni nell’ambito di un accrocchio al solo scopo di scongiurare la vittoria elettorale del centro destra. Una scelta pagata a caro prezzo dal PD, nel trascinamento di un’ esperienza di governo che escludeva dall’inizio una qualsiasi alleanza politica.

In fin dei conti non mi pare che ci sia qualcuno che ha vinto nella soluzione proposta da Mattarella se non il realismo necessario ad impedire lo sfascio del paese.

Anche Renzi può cantar vittoria per un tempo molto breve e solo grazie a tutto lo spazio di manovra che gli si è graziosamente regalato nell’insipienza di un governo tutto incentrato sugli annunci nella costruzione di una narrativa secondo cui: tutto va bene madama la marchesa.

Una stagione politica confusa e contraddittoria, condotta all’insegna della propaganda  è comunque finita per sempre.

Cosa verrà dopo dipenderà da come si affronteranno i problemi accumulati e mai risolti nel corso della prima parte della legislatura. E’ un elenco lungo che tutti conosciamo.

Inutile adesso fare ricorso alla frusta categoria dei “poteri forti”.

Converrebbe piuttosto riflettere sulla devastante incapacità di stare dentro un tumultuoso gorgo sociale che minaccia di rompere gli argini di ogni razionalità politica.

Destra, sinistra, sopra o sotto, la gente è spaesata e molto arrabbiata.

Diverse volte accennai alla necessità per un possibile ricostruzione della sinistra di intraprendere una lunga traversata nel deserto. La bussola resta sempre quella: un’ idea di società non subalterna al pensiero dominante per un trentennio.

In qualche modo, e per vie inesplorate fino ad ora, può tornare persino d’attualità quel pensiero lungo e ardito che proponeva “l’introduzione di elementi di socialismo”.

A tal proposito ci sarebbe da riflettere sulle vie proposte da Thomas Piketty nel suo ultimo “Capitale e ideologia”.

D’altra parte non vedo, nella situazione geopolitica attuale, come si possa considerare solo una semplice parentesi destinata presto a rinchiudersi la scelta europea pur faticosa , contrastata relativa alla  Next Generation UE.

Certo nulla è deciso, ma tutto può ancora accadere nella breccia che si è aperta nelle politiche europee.

Chissà, paradossalmente proprio al riparo di Draghi si potrebbe ricominciare a tracciare una pista.

Caro D’Alema

gennaio 22, 2021

Caro D’Alema ti scrivo.

Ho ascoltato con molto interesse la tua lezione magistrale in occasione del centesimo anniversario della nascita del partito comunista d’Italia.

L’ho trovata lucida e condivisibile per tanti aspetti.

Il ruolo di Gramsci anzitutto che di fatto con le tesi di Lione getta le fondamenta culturali di ciò che diverrà il PCI. Non molti oggi forse sanno che a Livorno non intervennero né Gramsci , né Togliatti ed era giusto ricordare (l’aveva già fatto Tortorella) che quel’evento fu solo il precursore del PCI.

E che Gramsci , in particolare scrisse parole critiche sul modo , sui tempi e sui contenuti della scissione bordighiana. L’ingegnere di Ercolano come tu con ironica, simpatica nuance lo hai definito.

Anche su ciò che hai definito come il “realismo” di Togliatti hai detto cose non banali poche considerate ai nostri tempi.

Vorrei però avanzare, alcune notazioni critiche.

Condivido la tua analisi sul rapporto tra il PCI e il grande movimento del 1968.

Io come te, nonostante la mia appartenenza alla FGCI (siamo coetanei) restavo critico nei confronti del partito. Ma mi iscrissi proprio nel ’68 al PCI per cercar di far valere le ragioni di un movimento che sollevava temi e incalzava la sinistra a rinnovarsi. Faccio fatica però a comprendere la ragione per la quale ometti di descrivere l’ offensiva terroristica organizzata da parti dello Stato e dai gruppi neofascisti allorché si comprese che gran parte di quel movimento ,in Italia a differenza che in altre parti d’Europa, confluiva nel PCI. A partire dalla prima strage di Piazza Fontana.

Altrettanto non riesco a capire per quale ragioni accrediti la tesi, ignobile e storicamente in gran parte infondata, dell’album di famiglia (se ho ben compreso) per quanto riguarda la nascita delle BR. Non puoi , non devi, caro compagno, credere davvero che si trattasse di un puro fenomeno di ribellismo. Lo dovresti almeno alla memoria di Ugo Pecchioli persona che tu stimavi e che un giorno di fronte a me ne rimarcasti l’umano coraggio. Non puoi e non devi ignorare il ruolo di indirizzo operativo avuto da ambienti internazionali nella “offensiva” almeno delle seconde BR. A tal proposito , al di là delle tesi complottistiche più estreme, ti dovrebbe bastare leggere le conclusioni dell’ultima Commissione stragi presieduta, tra l’altro, da un democristiano, ma prima ancora tratte provvisoriamente da una persona che tu ben conosci come Pellegrino.

Si trattò in verità di un ribellismo iniziale subito intercettato ed eterodiretto da quelle forze anticomuniste che dovevano interrompere ad ogni costo il dialogo aperto tra Moro e Berlinguer.

Aggiungo che hai certamente ragione sulle diverse visioni che stavano alla base di quel confronto. Ma ciò non ti libera dal denunciare il ruolo attivo della Nato, di ambienti USA e della tranquilla “aspettativa”, dell’URSS

Quanto alla piegatura moralistica che tu sembri accreditare nella sollevazione della “questione morale” da parte di Enrico Berlinguer. Non sono affatto d’accordo. Tu dici che si trattava di una crisi del sistema politico e istituzionale.

Hai ragione. Peccato che fosse proprio questa l’analisi che stava alla base della questione morale. Peccato (sai io son rozzo campagnolo) che in quella crisi Berlinguer , a mio modestissimo parere, già intravedeva anche il pericolo che il fenomeno corruttivo tra politica ed economia potesse coinvolgere anche parti del PCI. E sulla base della mia esperienza successiva credo di poter dire che, quantomeno in alcuni gruppi e territori, (mettiamola così) il timore di Berlinguer era fondato.

Sull’onda della sfida craxiana taluni pensarono di potersi adeguare. Portarsi al livello. Fortunatamente la cosiddetta tangentopoli (anch’essa probabilmente non dovuta semplicemente al “genio” di un Di Pietro) fermò molti sull’orlo del baratro.

Quanto all’evoluzione post comunista. Avrei molto da dire.

Ricordo solo un congresso a Roma dove accreditasti con la consueta intelligenza e abilità dialettica le sorti progressive e magnifiche della globalizzazione. Non posso dimenticarlo.

“La sordità” di quel Cofferrati di cui pure avevi rilevato, in altra sede l’alto tasso di riformismo.

Non lo posso dimenticare perché io, coordinatore della tua segreteria, intervenni a sua difesa (oggi davvero per molte ragioni non lo rifarei) proponendo un’altra e critica versione della globalizzazione in atto.

     Lo stesso giorno un autorevole membro del tuo staff venne a propormi di lasciare il coordinamento politico per dedicarmi all’economia. Compresi agevolmente che la mia sorte era segnata. Cose che accadono in politica. Niente di cui scandalizzarsi. Nulla da rimproverare , avevamo idee molto diverse.

Infine Firenze . Gli stati generali.

Dove si liquidò la parola partito. Mi par d’aver colto (ma forse sbaglio) un’autocritica relativa all’infausto evento, preparato dal mio successore, che poi aprì la strada alla segreteria di Veltroni. Anche in quella occasione intervenni a chiarire che una sommatoria di ceto politico non avrebbe risolto il problema della legittimazione degli ex comunisti. In quel momento prevalse una tattica di corto respiro (lo dissi in pubblico) volta a surfare sull’onda dell’antipartitismo.

Diciamo che ci fu un cedimento strutturale, diciamo.

Ci s’incamminò su di un’impervia scorciatoia. E alla fine: il PD.

A parte questi rapidi cenni su tutto il resto siamo d’accordo , compagno.

gennaio 22, 2021

Caro D’Alema ti scrivo.
Ho ascoltato con molto interesse la tua lezione magistrale in occasione del centesimo anniversario della nascita del partito comunista d’Italia.
L’ho trovata lucida e condivisibile per tanti aspetti.
Il ruolo di Gramsci anzitutto che di fatto con le tesi di Lione getta le fondamenta culturali di ciò che diverrà il PCI. Non molti oggi forse sanno che a Livorno non intervennero né Gramsci , né Togliatti ed era giusto ricordare (l’aveva già fatto Tortorella) che quel’evento fu solo il precursore del PCI.
E che Gramsci , in particolare scrisse parole critiche sul modo , sui tempi e sui contenuti della scissione bordighiana. L’ingegnere di Ercolano come tu con ironica, simpatica nuance lo hai definito.
Anche su ciò che hai definito come il “realismo” di Togliatti hai detto cose non banali poche considerate ai nostri tempi.
Vorrei però farti alcune pulci.
1) Condivido la tua analisi sul rapporto tra il PCI e il grande movimento del 1968.
Io come te, nonostante la mia appartenenza alla FGCI (siamo coetanei) restavo critico nei confronti del partito. Ma mi iscrissi proprio nel ’68 al PCI per cercar di far valere le ragioni di un movimento che sollevava temi e incalzava la sinistra a rinnovarsi. Faccio fatica però a comprendere la ragione per la quale ometti di descrivere l’ offensiva terroristica organizzata da parti dello Stato e dai gruppi neofascisti allorché si comprese che gran parte di quel movimento ,in Italia a differenza che in altre parti d’Europa, confluiva nel PCI. A partire dalla prima strage di Piazza Fontana.
Altrettanto non riesco a capire per quale ragioni accrediti la tesi, ignobile e storicamente in gran parte infondata, dell’album di famiglia (se ho ben compreso) per quanto riguarda la nascita delle BR. Non puoi , non devi, caro compagno, credere davvero che si trattasse di un puro fenomeno di ribellismo. Lo dovresti almeno alla memoria di Ugo Pecchioli persona che tu stimavi e che un giorno di fronte a me ne sottolineasti l’umano coraggio. Non puoi e non devi ignorare il ruolo di indirizzo operativo avuto da ambienti internazionali nella “offensiva” almeno delle seconde BR. A tal proposito , al di là delle tesi complottistiche più estreme, ti dovrebbe bastare leggere le conclusioni dell’ultima Commissione stragi presieduta, tra l’altro, da un democristiano, ma prima ancora tratte provvisoriamente da una persona che tu ben conosci come Pellegrino.
Si trattò in verità di un ribellismo iniziale subito intercettato ed eterodiretto da quelle forze anticomuniste che dovevano interrompere ad ogni costo il dialogo aperto tra Moro e Berlinguer.
Aggiungo che hai certamente ragione sulle diverse visioni che stavano alla base di quel confronto. Ma ciò non ti libera dal denunciare il ruolo attivo della Nato, di ambienti USA e della tranquilla “aspettativa”, dell’URSS.

2) Quanto alla piegatura moralistica che tu sembri accreditare nella sollevazione della “questione morale” da parte di Enrico Berlinguer. Non sono affatto d’accordo. Tu dici che si trattava di una crisi del sistema politico e istituzionale.
Hai ragione. Peccato che fosse proprio questa l’analisi che stava alla base della questione morale. Peccato (sai io son rozzo campagnolo) che in quella crisi Berlinguer , a mio modestissimo parere, già intravedeva anche il pericolo che il fenomeno corruttivo tra politica ed economia potesse coinvolgere anche parti del PCI. E sulla base della mia esperienza successiva credo di poter dire che, quantomeno in alcuni gruppi e territori, (mettiamola così) il timore di Berlinguer era fondato.
Sull’onda della sfida craxiana taluni pensarono di potersi adeguare. Portarsi al livello. Fortunatamente la cosiddetta tangentopoli (anch’essa probabilmente non dovuta semplicemente al “genio” di un Di Pietro) fermò molti sull’orlo del baratro.


3) Quanto alla deriva post comunista. Avrei molto da dire. Ricordo solo un congresso a Roma dove accreditasti con la consueta intelligenza e abilità dialettica le sorti progressive e magnifiche della globalizzazione. Non posso dimenticarlo “la sordità” di quel Cofferrati cui pure avevi rilevato, in altra sede l’alto tasso di riformismo. Non lo posso dimenticare perché io, coordinatore della tua segreteria intervenni a difesa (oggi davvero per molte ragioni non lo rifarei) proponendo un’altra e critica versione della globalizzazione in atto.
Lo stesso giorno un autorevole membro del tuo staff venne a propormi di lasciare il coordinamento politico per dedicarmi all’economia. Compresi agevolmente che la mia sorte era segnata. Cose che accadono in politica. Niente di cui scandalizzarsi. Nulla da rimproverare , avevamo idee molto diverse.
4) Infine Firenze . Gli stati generali.
Dove si liquidò la parola partito. Mi par d’aver colto (ma forse sbaglio) un’autocritica relativa all’infausto evento, preparato dal mio successore, che poi aprì la strada alla segreteria di Veltroni. Anche in quella occasione intervenni a chiarire che una sommatoria di ceto politico non avrebbe risolto il problema della legittimazione degli ex comunisti. In quel momento prevalse una tattica di corto respiro (lo dissi in pubblico) volta a surfare sull’onda dell’antipartitismo.
Diciamo che ci fu un cedimento strutturale, diciamo.
Ci s’incamminò su di un’impervia scorciatoia. E alla fine: il PD.

A parte questi rapidi cenni su tutto il resto siamo d’accordo , compagno.

CRISI.

gennaio 14, 2021

1)Sta arrivando la terza grande ondata del virus in Italia nella sua variante più contagiosa. Contiamo, già ora in media 600 morti ogni giorno. Superate le 80000 vittime , decine di migliaia di feriti. Quanto gravi lo sapremo solo in seguito. E’ iniziata una campagna di vaccinazione che se a fine anno raggiungerà i 30 milioni previsti dal piano vaccinale, (del che è lecito dubitare) saremo comunque assai distanti da quell’immunità di comunità o di “gregge” che potrebbe metterci in sicurezza. E’ da temere , senza alcuna esagerazione, che tra il 2020 e il 2021 in Italia saranno superate le vittime civili della seconda guerra mondiale.

Ma nella politica tutto prosegue come se il massacro in corso fosse solo un accidente il cui superamento è scontato, dando tempo al tempo.

Prima o poi il virus ci lascerà solo un brutto ricordo da dimenticare rapidamente.

Da quando la merda velenosa ci ha colpiti , per primi in Europa, non si vede alcun razionale, sistematico approccio. Si procede a fari spenti nella notte. Un DPCM via l’altro. Si disegna un’Italia a colori, con continue correzioni di rotta. Piccole sterzate che gettano il paese nella più assoluta incertezza. Non si scorge alcun disegno, ci si affida al potere salvifico di vaccini di cui nulla o poco si sa sulla loro efficacia nel tempo. Sembra sia stata gettata la spugna: pochi tamponi, pochi tentativi di sequenziare il virus per intuirne almeno la sua, a quanto pare accresciuta pericolosità e diffusione sui territori. Nessun  tracciamento è più possibile dopo che s’è passata un’estate allo sbaraglio. Pensando che il peggio fosse ormai alle nostre spalle.

Vero è che questa situazione c’accomuna la resto dell’Europa e del mondo. Ma dal nostro governo sono, troppo a lungo, venute solo parole che riguardano il futuro post pandemia. Nel presente ci si continua a trincerare dietro un comitato tecnico scientifico che appare prono agli imput della politica.

Il presidente del consiglio ha surfato con enorme disinvoltura sull’onda mortale della crisi sanitaria dando l’idea (quantomeno a chi scrive) di dare per scontato e ineluttabile la strage umana e civile in atto ormai da un anno. L’importante sono i ristori perché la nottata deve passare.

I DPCM e i velleitari propositi di task force hanno di fatto stabilito una forma di governo che ha poco a che fare con il dettato costituzionale. Misure amministrative avocate a sé dalla persona di Conte con il parlamento messo in un canto.

2) C’è dunque del vero nella dura critica di Renzi in questo campo come, per la verità anche in altri, compresa la gestione diretta ed esclusiva dei servizi segreti sulla quale si ha la sensazione sia in ballo qualcosa che potrebbe danneggiare l’immagine di Giuseppi. Qualcosa cui sono interessati taluni ambienti degli USA cui il fenomeno di Rignano sembra ben collegato. Non va mai dimenticato che a Firenze c’è un importante consolato americano da sempre stracolmo di “addetti culturali” molto interessati non solo alla situazione politica italiana ma anche specificamente dediti alla promozione di personalità politiche affidabili.

Ma è a tutti ben chiaro che l’apertura della crisi di governo provocata dalle dimissioni delle ministre di IV,se può poggiare su queste legittime critiche , non si giustifica certo con la volontà di avanzare un’alternativa all’attuale inaccettabile andazzo.

Nella conferenza stampa di Renzi non si sono sentite parole chiare a questo proposito. Solo un attacco frontale alla persona di Conte il quale peraltro tre giorni prima aveva chiarito provocatoriamente che se le ministre si fossero effettivamente dimesse lui non avrebbe mai più accettato di esser sostenuto da una maggioranza cui facesse parte il partitino di Renzi.

Era un segnale anche al PD, che immagino ha fatto di tutto e di più per scongiurare l’attuale crisi al buio pressando Conte affinché si predisponesse in altro più “costruttivo” modo di fronte all’offensiva renziana.

Ma il presidente del consiglio forte del consenso ottenuto anche tramite le sue continue apparizioni televisive ha evidentemente preferito restare fedele al suo personaggio di “avvocato del popolo”, consapevole della debolezza di un partito incompiuto dalla nascita che non a caso ebbe Renzi come segretario e ben consapevole anche della situazione interna al M5S che pur essendo il partito di maggioranza della pseudo coalizione, impropriamente denominata di centro sinistra, è anch’esso alle prese con problemi di identità non più risolubili nel suo esser passeggera meteora nel panorama politico italiano.

Tutti i motivi del populismo nostrano , almeno quelli interpretati dagli stellati sono da tempo appannaggio esclusivo di Conte, novello marchese del Grillo.

    3) Il PD, questo “amalgama mal riuscito” come ebbe a dire in seguito uno dei suoi fondatori nulla ha potuto nel condizionare il presidente del consiglio e quando ha cercato di farlo era ormai troppo tardi. Nel vuoto politico lasciato dai piddini s’è inserito Renzi con un affondo spericolato tipico del suo avventurismo. Quel necessario patto di legislatura da tempo avanzato dal PD Conte lo ha preso in considerazione fuori tempo massimo, non a caso dopo un incontro con Mattarella. Lo ha fatto però ad “un angolo di strada” non ad un tavolo politico e programmatico, come ha avuto tutto l’agio di denunciare Renzi.

Facile , a questo punto che Renzi diventi vittima delle sue macchinazioni.

Quel che è certo è che Conte tutto ha fatto fuorché scongiurare la possibilità di una crisi ignorando del tutto i moniti ripetuti dello stesso PD.

 Tutti e due – immemori di partiti che  per cause e motivi diversi, hanno abiurato al proprio ruolo – si son seduti ad un tavolo da poker, pensando che l’altro bluffasse e alla fine si ha l’impressione che perderanno entrambi.

Duellanti, per molti tratti del tutto simili, che non dimostrano troppo interesse a gestire un’emergenza umanitaria senza precedenti. Troppo occupati ad usarla per accrescere il proprio personale e residuo potere.

Mi sembra un caso unico in Europa in presenza di un’opposizione costituita da forze di destra estrema che mai e poi mai si disporranno a dare una mano –  sia pur non rinunciando alle proprie idee – ad un paese ormai in ginocchio.   

Va detto che anche in questa direzione si sarebbe comunque dovuto incalzare per provocare un serrato confronto politico-parlamentare.

Ma nell’infausta stagione dei DPCM, agevolata dal populismo della destra non c’è spazio per la politica o quantomeno si è progressivamente molto ristretto.

Eppure solo un’azione politica potrebbe riprendere in mano un filo d’Arianna che ci porti fuori dal labirintico pantano che si è creato.

A meno che , ancora una volta voltando le spalle all’emergenza destinata a peggiorare fino a limiti insostenibili, qualche folle non pensi ad elezioni.

Intanto un enorme danno si è già prodotto.

Cosa devono pensare coloro che sono in trincea a combattere il virus mentre la politica si fa gli affari suoi?

Per quanto tempo ancora resisteranno senza cominciare a disertare silenziosamente?  

IL CONTE.

dicembre 11, 2020


“Ben vengano tutte le proposte per migliorare la capacità amministrativa dello Stato” sul Recovery Plan, quello che va chiarito è che questa struttura non vuole e direi non può esautorare i soggetti attuatori dei singoli progetti, che saranno amministrazioni centrali e periferiche. Noi però abbiamo bisogno di una cabina di monitoraggio, altrimenti perderemmo soldi.”
Queste parole chiariscono bene il metodo Conte.
Tutti avevano capito che si trattava di commissariare la pubblica amministrazione fino al 2026, data entro cui dovrà essere completato per gradi successivi la Next generation UE.
Ovvio che una cabina di regia era ed è necessaria. Il problema atteneva piuttosto ai suoi compiti volti alla creazione e direzione di una “struttura di missione” al cui vertici erano posti sei super manager con poteri speciali sovraordinati a quelli dei legittimi poteri statali e persino a quelli del governo nella sua collegialità. Il parlamento non pervenuto se non per informazioni trimestrali.
Da dove nasce Conte e il suo decisionismo personalistico?
Nasce entro un sistema politico profondamente snaturato dall’ondata populista.
D’Alema ha detto che un giorno Conte passava da palazzo Chigi e la porta era aperta: siamo stati fortunati dato che non era un incapace.
Bersani ha parlato di lotteria : è uscito per caso il numero fortunato.
Mi par una spiegazione risibile.
Conte nasce dal populismo di Salvini/Di Maio di cui è stato primus inter pares.
E’ un prodotto del populismo italiano, dell’antipolitica del furore anticasta che è stato a lungo coltivato , attizzato e preparato all’uopo da un tempo lunghissimo da parte di poteri economici nazionali e transnazionali che non hanno mai dismesso l’idea di governare senza la mediazione della democrazia politica.
Che poi adesso se ne lamentino é sol perché Conte s’è messo in testa il cappello di Napoleone. E lo ha fatto senza parere, poco per volta, di soppiatto, morbidamente e nottetempo come il consiglio dei ministri che viene riunito preferibilmente in notturna.
Lo ha fatto inaugurando la stagione dei DPCM, via Covid.
Lo ha fatto con le conferenze stampa bisettimanali rivolgendosi direttamente agli italiani come mai aveva fatto un presidente del consiglio in tutta la storia pur breve della repubblica.
Il messaggio è chiaro e sempre uguale. Sono al comando , non preoccupatevi troppo delle chiacchiere dei partiti. E agli italiani piace.
E piacerà.
L’uomo peraltro è assai flessibile, pronto a cambiare idea, a sterzare con disinvoltura con una perizia da politicante democristiano ma infinitamente più veloce, moderno.
Facendo dimenticare con abilità straordinaria anche quello che aveva detto il giorno prima.
Insomma nel vuoto di potere creato da una lunga crisi del sistema politico Conte è l’uomo giusto al posto giusto.
O almeno così appare.
Alterna diplomazia e sfida aperta come sta facendo in questi giorni dopo la requisitoria di Renzi che non è certo dispiaciuta al PD.
Annuncia infatti una verifica con tutte le forze di governo: snidatemi di qui se potete.
Non possono.
Non hanno alcuna visione, né progetto politico, balbettano di centro sinistra da ricostruire come fossimo ancora vent’anni indietro contando assurdamente nel M5S.
Conte invece una visione ce l’ha.
Cerca di perseguirla avanzando, saggiando il terreno e se del caso retrocedendo.
In verità Conte non nasce per caso.
Si pone, seppur spesso confusamente, come l’interprete di una nuova stagione che prevede una torsione morbida e paternalista in senso presidenzialista.
Renzi fallì col suo referendum che aveva sullo sfondo il Sindaco d’Italia, ma l’attuale presidente del consiglio , in epoca Covid, ha molte più frecce al suo arco.
Ed evidentemente può poggiare su di un retroterra di forze che lo sostengono.
Poi ci son caratteristiche anche personali che fanno una differenza: l’uomo devoto a Padre Pio, a differenza di Renzi e Salvini, sa incassare senza fare una piega.
Ha nervi d’acciao.
E un’ambizione smisurata.
Può essere che non ce la farà.
Di fatto l’idea di un rafforzamento del governo (rimpasto) da parte del Pd è solo rimandata.
Ma penso che al caso inghiottirà senza batter ciglio.
Quello da palazzo Chigi non si muove.
Sa perfettamente , come sappiamo tutti, che finché dura la pandemia, è al sicuro.
Blindato dal Virus.
Anche per questo sarebbe non solo utile , ma necessario e urgente lavorare ad una prospettiva diversa per il futuro da quella che hanno in testa allo stesso modo (vedi alla voce Macron) sia Conte che Renzi.
Viceversa la destra è dietro l’angolo.




Task force.

dicembre 7, 2020


Credo sia utile, anche correndo il rischio di semplificare, denunciare apertamente l’idea di fondo che sorregge la progettazione, l’implementazione e l’esecuzione di tutto ciò che si può e si deve fare con i famosi 209 miliardi del Next generation UE.
Di preciso, l’idea di procedere con strutture piramidabili, parallele alla pubblica amministrazione, che viene così degradata ulteriormente a mero apparato servente delle cosiddette task force.
Ormai a ogni problema corrisponde una task force, termine di origine militare che venne originariamente introdotto dalla US Navy a significare rapido intervento risolutivo.
L’idea è che non ci son risorse umane valide nella pubblica amministrazione e che dunque occorra procedere per linee esterne alla stessa.
E’ un’idea balzana, liberal – anarcoide foriera d’ogni sorta di guai.
Forse non tutti sanno che nella nostra pubblica amministrazione ci son fior di dirigenti di alto livello dotati di esperienza e capacità progettuale e gestionale che invece , verosimilmente, non hanno affatto un branco di consulenti od esperti scelti non si sa con quale criterio.
Al di là del valore dei singoli consulenti, senza un impegno dei funzionari delle burocrazie ministeriali, costoro si limiteranno a pestare acqua nel mortaio della loro sconoscenza dei meccanismi e delle procedure amministrative e giuridiche e anche e soprattutto delle professionalità tecniche della PA.
Sarebbe una grande occasione per preparare la grande riforma della pubblica amministrazione sotto l’urgente stato di necessità, rimotivandone fino ai livelli locali, i suoi tanti operatori.
Facendo leva in modo nuovo e convinto sul loro amor proprio. (capisco che è un termine desueto).
Ma parlo di motivazione persino etica.
E, a mio avviso, e secondo la mia piccola esperienza si può fare.
Però bisogna dare fiducia, stimolarla con un discorso pubblico che torni ad assegnare a decine di migliaia di persone, dipendenti dello stato, delle regioni e dei comuni, il ruolo di tutela e promozione del bene pubblico collettivo.
Per fare un esempio.
In Italia ci si è concentrati sui “furbetti del cartellino” ma non ci si è mai chiesti cosa c’è all’origine di questo fenomeno.
Ve lo dico io cosa c’è, al netto di una quota minoritaria di furbi impenitenti.
C’è la depressione degli operatori pubblici subentrata nei lunghi anni in cui s’è privilegiato il cosiddetto rapporto (distorto) tra pubblico e privato.
C’è l’esternalizzazione di servizi pubblici essenziali.
Esternalizzazione anche nella maggioranza dei servizi nella sanità.
Ai tagli continui alla sanità ha puntualmente corrisposto una notevole quantità di soldi pubblici a società private mentre si continuavano a retribuire miseramente infermieri specializzati e spesso anche medici.
Per i medici si è poi compensato con la cosiddetta libera professione intramoenia.
Ma si possono fare molti altri esempi oltre a quello della sanità.
Per questo, non si concluderà nulla di buono esautorando, o comunque mettendo in secondo piano, i compiti e le funzioni proprie dei componenti della amministrazione pubblica.
Perché questo è esattamente ciò che potrà avvenire con la delega ad esperti esterni.
E, naturalmente c’è anche un altro e persino più rilevante e inquietante aspetto.
La politica media , perlomeno media, la propria responsabilità dietro lo schermo dei tecnici, e dei consulenti avventizi.
Per la serie : l’hanno detto i tecnici.
E’ già avvenuto e sta tutt’ora avvenendo con il CTS in un insano rapporto tra politica e tecnica.
Un vizio a mio avviso potenzialmente letale.
Anche perché in questo modo di procedere , ormai dato per scontato, è l’intero sistema istituzionale a esser messo poco per volta in disparte.
Le task force in rapporto diretto con i vertici dello stato sono un grimaldello per scassinare un assetto costituzionale per via indiretta.

Un modo per aprire la scatoletta di tonno del parlamento senza tirare la linguetta del coperchio, ma recidendone poco per volta il fondo.